PIAZZA AFFARI POCO BRITISH, MA PREZZI GIÀ INCORPORANO IL PEGGIO (O QUASI)

banca centrale europea

Quanto realmente pesa il rischio Brexit per il mercato azionario italiano? Difficile
quantificarlo anche perché ad oggi non si può sapere le effettive conseguenze politiche
sull’intera architettura dell’Unione Europea in seguito all’uscita della Gran Bretagna.
Andando a spulciare l’esposizione diretta delle società italiane in Gran Bretagna
emerge che a livello pratico le principali società di Piazza Affari che generano
più del 10% del fatturato in Gran Bretagna si contano sulle dita di una mano.

Senza contare che spesso le società tendono a coprire il cambio del fatturato generato
all’estero e non sono quindi immediatamente esposte a forti oscillazioni delle valute.
Un tonfo della sterlina post-Brexit non dovrebbe quindi avere ripercussioni eccessivamente traumatiche. Yoox NAP risulta la società con maggior quota di fatturato
legata a Uk, pari al 15%, seguita da Leonardo-Finmeccanica con il 14%, Prysmian
con il 13%. Quote decisamente inferiori per le altre: 6% per Ferrari, 5% Tod’s, 4%
Moncler, 2% CNH Industria, Ferragamo e Campari, solo 1% per Generali, Luxottica
ed Eni.

L’esposizione indiretta, misurata invece come instabilità dei mercati legata
alle conseguenze politiche di una uscita di UK dall’Europa, sarebbe invece più elevata
“data la proverbiale maggiore debolezza del nostro debito pubblico”, rimarca un
report di Intermonte Advisory sulla Brexit.
A conti fatti Piazza Affari sta fortemente pagando dazio. Il saldo da inizio è arrivato
a -24% con l’ultima fase di bear market arrivata a -13% considerando l’andamento
dal 28 aprile in avanti. A una settimana esatta dal referendum Il livello di stress
misurato da volatilità, spread, tassi governativi sotto zero è elevatissimo sull’onda
dei sondaggi di opinione che vedono il fronte Brexit in vantaggio.

 

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