Spauracchio FED per gli emergenti

markets

Stretta sì, stretta no. Il dibattito è aperto non solo in seno alla Fed poiché le ripercussione
del primo rialzo del costo del denaro oltreoceano dal lontano 2006 sono di portata globali
e gli investitori già da mesi sono in manovra per gestire il cambio di scenario, con
soprattutto i mercati emergenti in apprensione per il rischio di defl ussi da asset più a
rischio in scia a una stretta Fed così come successo due anni fa quando Ben Bernanke
preannuncio l’inizio del ritiro del piano di QE.

La Fed sarebbe una voce fuori dal coro che anche quest’anno ha già visto 28 azioni di
allentamento monetario considerando le ultime messe in atto da Corea del Sud e Nuova
Zelanda, quest’ultima che era uno dei pochi paesi avanzati ad avere resistito negli ultimi
4 anni alla tentazione di azionare la leva sui tassi. Dopo anni di politica monetaria gestita
a colpi di tassi zero e ben tre piani di quantitative easing, la maggiore banca centrale
mondiale è pronta a normalizzare il livello dei tassi, con la convinzione diffusa che la
data giusta per la prima stretta potrebbe essere settembre.

Le ultime super-payrolls vanno in tale direzione e difatti si è assistito a un nuovo salto
in avanti dei rendimenti dei Treasury, saliti di oltre 50 punti base da metà aprile ad oggi.
Discorso diverso per il dollaro, che dopo un entusiasmo iniziale post-payrolls, si è
progressivamente deprezzato nelle ultime sedute condizionato da vari input avversi a
partire dalle presunte parole pronunciate al G7 dal presidente Barack Obama, che vedrebbe emergere qualche problema dal forte apprezzamento del biglietto verde nell’ultimo anno.

Pressioni esterne che potrebbero indurre la Fed a temporeggiare ancora. Un
rinvio è stato caldeggiato ultimamente dal Fmi che auspica uno slittamento alla prima
metà del 2016 ritenendo che la Fed debba aspettare segnali tangibili di
aumento dei salari e dell’inflazione prima di effettuare la prima stretta dal 2006.