NUOVO ALLARME BARRIERE. COME MUOVERSI

Il sell off sta infrangendo le barriere di Bonus su titoli e azioni. Imparare dal passato per non commettere nuovi errori

Con un minimo intraday a 13192 punti, segnato dopo una buona apertura e un’immediata brusca inversione nella mattinata di martedì, il FTSE Mib è oramai ad un passo dai fatidici minimi di marzo 2009. Per tanto tempo, oltre due anni, abbiamo creduto che la cosiddetta linea Maginot avrebbe potuto reggere l’urto di una nuova crisi. Ma i 10000 punti persi in soli sei mesi, dai massimi dell’anno a 23100 punti, stanno facendo materializzare il peggiore degli incubi. Giunti a questo punto, la mancata rottura di quel minimo a 12332 punti, su cui per 30 mesi sono state costruite strategie di ricostituzione del capitale e riposte speranze di un consolidamento della ripresa, avrebbe più che altro una rilevanza psicologica: poter dire, infatti, che ancora non si è al di sotto dei minimi del 2009 equivale a credere che questa crisi abbia prodotto minori danni della precedente. Purtroppo non per tutti è così e i minimi storici raggiunti da alcuni titoli ( Intesa Sanpaolo in testa) o sfiorati da altri ( Eni, Unicredit o Generali) sono lo specchio di una realtà ben diversa, che ancora una volta ha ridotto all’osso i portafogli degli azionisti e generato perdite nell’ordine del 50% sui soli strumenti di investimento legati agli indici di Piazza Affari. Questa volta, però, a piangere lacrime amare non ci sono solamente coloro che hanno acquistato azioni bensì anche gli obbligazionisti, di natura poco propensi al rischio e per questo motivo ancora più spiazzati dalla rapidità e la violenza con la quale si è manifestato il sell off. I titoli di stato hanno perso mediamente oltre il 15% dal mese di marzo e i rendimenti hanno raggiunto, proprio in questi giorni, livelli record. Sul fronte europeo, un po’ meglio ( o meno peggio) è andata finora all’indice Eurostoxx 50 che, con un minimo intraday a 1948 punti, sempre nella mattinata di martedì, ha bucato la soglia psicologica dei 2000 punti e ha messo nel mirino i 1765 punti di bottom di marzo 2009. Dai massimi del 2011, segnati a febbraio in area 3077 punti, il ribasso ha raggiunto a questo punto i 37 punti percentuali. La cronaca dell’avvitamento di quasi tutti gli indici del Vecchio Continente, incluso il Dax di Francoforte che per diversi mesi aveva mostrato una tenuta di gran lunga migliore, ci porta a stilare un bilancio, probabilmente ancora provvisorio, dei danni causati sul segmento dei certificati di investimento, con particolare riferimento a quelli a capitale protetto condizionato.

BARRIERE NUOVAMENTE IN FRANTUMI

Sono così definiti dall’Associazione degli emittenti di certificati e prodotti di investimento ( Acepi), quei certificati caratterizzati da una o più opzioni accessorie alla replica lineare del sottostante, legate alla presenza di una barriera posta generalmente al ribasso del livello strike ma in alcuni casi fissata al rialzo. La tipologia più nota e diffusa di certificati a capitale protetto condizionato è quella dei Bonus, per i quali alla scadenza è previsto il pagamento di un premio ( il Bonus per l’appunto) unitamente al rimborso del nominale, a condizione che non si sia verificato un evento barriera. Tecnicamente, tale evento si materializza nel momento in cui l’azione o l’indice sottostante raggiunge o supera un livello prefissato all’atto di emissione. A seguito della violazione della barriera, il certificato perde l’opzione accessoria che avrebbe consentito di beneficiare a scadenza della protezione del capitale e del Bonus e si trasforma in un semplice clone del sottostante, replicandone linearmente i movimenti fino alla scadenza e adeguandosi immediatamente alla sua quotazione di mercato. Va tuttavia aggiunto che successivamente all’evento barriera, il prezzo del certificato tende a scontare i dividendi che il sottostante ha in previsione di distribuire fino alla data di esercizio: questo avviene perché chi acquista il certificato accetta implicitamente di “barattare” il dividendo del sottostante con le opzioni di protezione condizionata del capitale e di rendimento, generalmente a doppia cifra su base annua, anche in caso di sostenuto ribasso del sottostante stesso. Di conseguenza, a rottura avvenuta, il prezzo di mercato del certificato si adegua al valore del suo sottostante al netto dei dividendi stimati per il tempo residuo alla scadenza e ciò rende praticamente ininfluente, se non per la presenza del Cap in alcuni strumenti, effettuare operazioni di switch tra il certificato e l’azione/indice corrispondente. Va infine ricordato che esistono due tipi di barriera: quella continua, che ha causato i maggiori danni ai portafogli degli investitori sia nel post-Lehman che nell’ultimo bimestre, prevede che la violazione possa avvenire in qualsiasi giorno dall’emissione alla scadenza, prendendo come riferimento il prezzo di chiusura per le azioni e quello di apertura, chiusura o intraday, per l’indice italiano. Quella discreta a scadenza, al contrario, viene osservata esclusivamente alla data di valutazione finale e pertanto i certificati per i quali è previsto questo genere di barriera sono in grado di conservare integre tutte le opzioni accessorie fino alla scadenza anche in fasi pesantemente negative come quella attuale.

IMPARARE DAGLI ERRORI DEL PASSATO

Proprio la maggiore diffusione di certificati con barriera discreta a scadenza, frutto dell’esperienza devastante coincisa con lo tsunami delle barriere del 2008/2009, ha consentito, finora, di registrare un numero di eventi barriera notevolmente inferiore, sia in termini assoluti che percentuali sul totale, rispetto al biennio nero. Secondo i dati raccolti da Certificati e Derivati, da inizio anno sono stati 129 i certificati che hanno subito la violazione della barriera, di cui 107 da agosto: dato un totale di 318 certificati a capitale protetto condizionato in circolazione, ammonta a circa il 40% la percentuale di eventi barriera . A marzo 2009 furono l’85% circa i certificati con barriera che vennero travolti dal tracollo dei mercati azionari.

La rapidità con cui si è avvitato l’indice italiano negli ultimi 60 giorni ha colto di sorpresa gli investitori che avevano scelto di diversificare il proprio portafoglio azionario puntando sui certificati Bonus. Il danno causato dalla perdita delle opzioni accessorie è stato nella gran parte dei casi proporzionalmente più elevato rispetto alla discesa subita dal sottostante e questo è dovuto a due fattori: la perdita del premio implicito nella quotazione antecedente alla rottura e lo sconto dei dividendi stimati. Come sempre accade, quando i mercati azionari vanno male gli investitori tendono a rifugiarsi in strumenti capaci di garantire il ritorno del capitale investito anche in caso di ulteriore ribasso ( ad esempio gli Equity Protection). Tuttavia, come si è già visto dopo la ripartenza del 2009, questi certificati oltre a precludere il diritto ad incassare il ricco dividend yield che caratterizza molti dei titoli azionari inclusi nell’indice di Piazza Affari, non sono in grado di replicare con sufficiente reattività l’eventuale recupero che il mercato dovesse riuscire a segnare dopo aver toccato il fondo. Per avere la conferma dell’inadeguatezza di una scelta simile è sufficiente osservare l’andamento di uno dei tanti Equity Protection emessi prima del crollo causato dal crack Lehman.

Si prenda, a mero titolo di esempio, l’Equity Protection emesso da Deutsche Bank ad ottobre 2005 e che il prossimo 31 ottobre, dopo sei anni, giungerà alla data di scadenza. Fissato lo strike a 32782 punti, il certificato è caratterizzato da una partecipazione lineare ai rialzi dell’indice FTSE Mib superiori allo strike e da una protezione totale del nominale a scadenza. Emesso a 100 euro, ha toccato un minimo a 89 euro il 15 luglio 2008 mentre in corrispondenza dei 12332 punti di FTSE Mib a marzo2009 hasegnato un prezzo minimo di 94,40 euro. Se si considera il rialzo registrato dallo stesso indice nei mesi successivi al raggiungimento del bottom, quantificabile in poco meno del 100% dati i 24425 punti fissati il 19 ottobre dello stesso anno, si comprende come il certificato a capitale interamente protetto non sia stato in grado di reagire minimamente al poderoso rally del suo sottostante, essendosi apprezzato soltanto del 4,66%.

LA SOLUZIONE E’ LO SWITCH

A questo punto, chi fosse rimasto vittima di un evento barriera per uno o più certificati in portafoglio cosa potrebbe fare per cercare di recuperare quanto prima l’investimento iniziale? Molto dipende dalle aspettative che si nutrono nei confronti del mercato. Se si ritiene che questo sia destinato a scendere ancora molto, qualsiasi soluzione azionaria priva di copertura sarebbe inefficace e potenzialmente dannosa. Se invece si considera plausibile un recupero o quantomeno un sostanziale allentamento della pressione di vendita, l’ipotesi di switch su analoghi certificati con barriere molto profonde, anche sullo stesso sottostante, consentirebbe di ricostruire il capitale iniziale senza la necessità di dover assistere a corposi recuperi del mercato. Qualche esempio? Chi avesse subito un evento barriera per un certificato legato all’indice FTSE Mib perdendo tra il 25 e il 50% del capitale, potrebbe valutare uno dei Bonus, con o senza Cap, con barriere molto profonde che negli ultimi mesi hanno subito inevitabilmente il tracollo dell’indice vedendosi ridurre il buffer sulla barriera ma, per contro, ampliare il rendimento potenziale. Un esempio è dato dal nuovo Bonus Cap di Macquarie ( identificato da codice Isin DE000MQ49KT2 ) che alla scadenza del 31 agosto 2015 rimborserà 100 euro a patto che non sia mai stato toccato dall’indice il livello barriera posto a 8000 punti. Sebbene in questa fase nessun livello appaia irraggiungibile, c’è da augurarsi che almeno questi valori restino solo sulla carta. La distanza di circa il 40% dai livelli attuali, nonostante la durata residua di quattro anni, consentirebbe pertanto di ottenere un rendimento del 62% sui 61,50 euro a cui il certificato è quotato in Borsa Italiana anche nell’ipotesi che l’indice di Piazza Affari subisse un ulteriore ribasso. Al fine di non lasciare nulla al caso, nella malaugurata ipotesi che la barriera venisse rotta, supponendo un valore del FTSE Mib a scadenza pari a 7900 punti il rimborso del certificato sarebbe di 33,16 euro, ossia il 46% in meno dell’attuale prezzo di mercato. Nello stesso tempo, un investimento a Benchmark sullo stesso indice registrerebbe un passivo del 42% circa al netto dei dividendi.

Tra i titoli del FTSE Mib maggiormente colpiti dalla speculazione negli ultimi mesi ci sono senza dubbio i bancari. Unicredit e Intesa Sanpaolo hanno rispettivamente avvicinato e violato i precedenti minimi e di conseguenza per molti investitori il bilancio è molto pesante. Due certificati potrebbero rimettere in gioco chi è stato travolto dall’ondata di vendite. Il primo, emesso da BNP Paribas e recentemente quotato con codice Isin NL0009526201 , è un Bonus Cap che alla scadenza del 16 dicembre 2011 rimborserà 111 euro se Unicredit non avrà mai registrato fino a quella data un valore di chiusura pari o inferiore a 0,446 euro. Proposto al Sedex a 91 euro, il certificato è pertanto in grado di rendere il 22% circa in tre mesi a patto che Unicredit non si dimezzi dai valori di strike e non perda il 40% circa dalla chiusura di martedì a 0,737 euro.

Il secondo, legato a Intesa Sanpaolo, è un Easy Express di Macquarie ( Isin DE000MQ48VB9 ) che alla scadenza del 22 luglio 2013 rimborserà 100 euro se il titolo bancario sarà ad un livello pari o superiore a 0,65 euro. La particolarità di questo certificato risiede nella barriera discreta a scadenza: ciò implica che è sufficiente che Intesa Sanpaolo sia alla data finale almeno al livello barriera per consentire un guadagno del 50% circa, in virtù dei 66,50 euro a cui è quotato in Borsa Italiana. Alla chiusura di martedì, fissata da Intesa Sanpaolo a 0,923 euro, la barriera osservabile solo alla data di valutazione finale era distante di circa il 30%. Per entrambi, un’eventuale perdita della barriera comporterebbe un rimborso allineato all’andamento dei rispettivi sottostanti dai livelli strike.