INVESTIRE IN DOLLARI, ANCORA CONVIENE?

000008924354-protezione-ombrello-soldi-banconote-dollari-300x300

Dopo le riunioni di metà mese delle Banche Centrali, che hanno sancito un’importante iniziativa di quella europea e l’immobilismo un po’ a sorpresa di quella americana, l’interrogativo che circola tra gli investitori è a cosa guarderà la Yellen nei prossimi mesi, ovvero a ciò che più chiedono implicitamente i mercati o a quello che prevede il proprio mandato?

Se il bazooka sparato da Draghi lo scorso 10 marzo era inatteso ma sperato, la politica restrittiva della FED ha subito sì un arresto, ma gli analisti stimano almeno un aumento dei tassi nel 2016 e addirittura 4 nel 2017. Troppi, pochi? Chissà, fatto sta che alla dinamica del tasso di cambio euro-dollaro americano si agganciano diverse correlazioni e diversi asset.

Il tanto atteso apprezzamento del dollaro, che dipende in larga parte dalla divergenza economica tra USA e Europa, comporterà ad esempio un ampliamento del differenziale di rendimento dei BTP. Se in molti ad inizio 2016 erano pronti a scommettere sulla parità del tasso di cambio, che avrebbe comportato un altro impatto sia sulla curva dei tassi, che sulle dinamiche di carry trade nonché sui bilanci dei paesi emergenti, ecco che lo scenario attuale, in pieno stile attendista, sembrerebbe invece muoversi su un congelamento dei corsi verso una più sostenibile lateralità.

Come già accennato, il monitoraggio del differenziale dei tassi dei TdS a 10 anni potrebbe essere un valido campanello di allarme. Qualora lo spread dovesse allargarsi significativamente, il tasso di cambio Eur/Usd potrebbe nuovamente aggiornare i suoi minimi di periodo sotto area 1,05. Qualora invece la situazione dovesse rimanere inalterata e la Yellen non sorprendere i mercati con nuove operazioni sui tassi, ecco che i target per fine 2016 si attesterebbero in area 1,08.

Se vuoi continuare a leggere l’articolo vai sul CJ n.459