L’EUROPA DEL CREDITO

Protagonista indiscusso delle piazze del Vecchio Continente, il comparto bancario continua a far da volano alla spirale finanziaria. Quali sono le prospettive del settore?

 Prevedibile l’ultimo report trimestrale pubblicato dalla BIS (Bank for International Settlement), eppure vederlo scritto bianco su nero suscita sempre un certo allarmismo. Dati alla mano, gli economisti della Banca Internazione dei Regolamenti hanno affermato come l’impulso positivo dato ai mercati dalle misure non convenzionali adottate dalla Banca Centrale per rimarcare il proprio impegno nel calmierare la stretta del credito, abbiano già esaurito buona parte degli effetti possibili sui listini finanziari nei mesi precedenti all’annuncio ufficiale. Infatti, se le misure hanno da un lato permesso un abbassamento del tratto breve delle curve di mercato dei paesi periferici, dall’altro non hanno ottenuto secondo gli economisti della BIS una variazione significativa con la portata della misura.  Tassi già al minimo e la mancanza di fondamentali macroeconomici incoraggianti sarebbero infatti i principali freni al blasonato “effetto sorpresa”. Dagli ultimi dati pubblicati dalla Banca Centrale Europea, a non aver percepito in alcun modo la maxi iniezione di liquidità sarebbe la clientela retail e corporate degli istituti di credito europeo nel mirino della crisi, quelli di nazionalità italiana in testa. Secondo i dati, i tassi applicati al costo del denaro rimangono stellari, con un incremento medio  year to year rispetto a luglio 2011 di ben l’1,10% per un prestito della durata massima di cinque anni richiesto da una piccola media impresa del Belpaese, concesso ad un tasso medio del 6,24%, superato nell’area euro solo da quello spagnolo. Rimbalzando nuovamente sul mercato finanziario, il risk appetite mostrato dagli investitori si è tutt’altro che stemperato. L’indice Fisher-Gartman Risk On, costruito con una serie di posizioni su mercati diversificati tanto per assets quanto per area geografica, ha di gran lunga superato il precedente picco tracciato lo scorso marzo all’indomani dell’annuncio del programma LTRO. Con l’ufficializzazione del QE3 l’indice ha messo a segno una spike, rientrata peraltro alla chiusura della scorsa ottava. L’indice Eurostoxx Banks 600 pur seguendo sostanzialmente lo stesso pattern dell’indicatore di rischio, non ha tuttavia raggiunto i massimi toccati lo scorso marzo. Un ritardo che può giustificare l’esistenza di un ulteriore margine di recupero? Il rialzo da capogiro messo a segno dagli istituti di credito dell’area euro negli ultimi tre mesi è tale per cui, anche l’investitore meno avverso al rischio preferirebbe monetizzare le perdite piuttosto che sperare in un nuovo strappo.  Tra i player a salire sul podio di best performer degli ultimi tre mesi, ovvero Crédit Agricole (+82%) Unicredit (+45%) e Société Générale (+42%), solo quest’ultima secondo gli analisti di Bloomberg scambia ad un prezzo in linea con quello target dati i suoi fondamentali. Secondo il consensus, infatti, il valore corrente di Credite Agricole sarebbe sopravvalutato del circa l’11%, mentre per l’istituto di credito di Piazza Cordusio, il surplus si attesterebbe a circa il 6%.  Risulta invece underpriced   il fanalino di coda dei bancari negli ultimi tre mesi, ovvero HSBC che vanterebbe un margine di ancora l’11% rispetto i suoi fondamentali. Secondo tale misura, sarebbe da comprendere nello stock picking anche l’austriaca Erste Group, il cui business con l’Est Europa varrebbe un upside potenziale del 16% e Barclays, ristrutturata dopo lo scandalo Libor, con un margine di apprezzamento di circa il 10%.

o ci permette altri spunti interessanti.  In base al modello di calcolo del rischio d’insolvenza di Bloomberg il mercato risulta ancora troppo permissivo nei confronti del settore bancario. L’indicatore di Default Risk per il settore del credito del Vecchio Continente è aumentato negli ultimi tre mesi dello 0,089%, e sconta una probabilità di fallimento delle banche dell’area pari all’1,206%. Il sentiment cambia qualora si restringa il campo alle regioni a più alto rischio liquidità quali Italia e Spagna. La misura dell’indicatore relativo al Belpaese è leggermente calata negli ultimi due mesi, scendendo sotto l’1%, con una netta flessione per i due istituti a più alta capitalizzazione quali Unicredit e Intesa Sanpaolo, per i quali la probabilità media di default è dello 0,547%, al di sotto sia di quella francese che tedesca per la stessa categoria. Il mercato tuttavia sconta solo parzialmente la quantità di rischio stimata con il modello. Il contratto CDS a 5 anni applicato alla probabilità d’insolvenza di Unicredit e Intesa Sanpaolo è infatti scambiato sul mercato a un valore medio di 413 punti base, a circa 100 punti in meno del valore implicito al modello di rischio implementato. Le misure attuate da Draghi hanno invece apportato un maggior beneficio alla Spagna con un rischio di fallimento complessivo del settore in flessione di circa il 2% a 1,142%. Il CDS rimane tuttavia a quota 554 punti base, sostanzialmente in linea con il rispettivo valore implicito. Guardando più da vicino al sistema bancario italiano, è impossibile non menzionare il timing “perfetto” per l’introduzione da parte della Consob del divieto di vendita allo scoperto di titoli bancari e assicurativi quotati su Borsa Italiana. Entrato in vigore lo scorso 27 luglio, ovvero all’indomani dei minimi toccati dalle stock finanziarie, si è concluso lunedì 17 settembre, nell’area di massimo degli ultimi mesi.  Prendendo i tre principali esponenti della categoria, quali Unicredit, Intesa Sanpaolo e Generali, questi hanno rilevato un prezzo di chiusura in data 26 luglio rispettivamente pari a 2,584 euro, 0,97 euro e 9,46 euro. Alla scadenza del divieto, fissata per le ore 18 dello scorso venerdì, i tre titoli erano invece sull’area di massimo dallo scorso marzo, con un incremento medio pari al 38,60%. Inevitabile un’impostazione negativa per l’ottava corrente. Dalla chiusura di venerdì Unicredit è in perdita del 4,58%, Intesa del 5,35%, mentre Generali registra un ribasso del 4,51% e il rendimento del BTP, componente importante degli asset dei tre istituti, continua a rimanere stabile intorno ai 350 punti.

STORIE A LIETO FINE

Spesso caratterizzati da un profilo di rendimento accattivante, i certificati aventi come sottostante una stock bancaria incorporano mediamente una componente di rischio superiore alla media per via della forte esposizione al nervosismo di mercato. I quattro Bonus Cap targati BNP Paribas scritti su Intesa Sanpaolo, Crédit Agricole, Société Générale e Deutsche Bank con scadenza naturale fissata per il prossimo 19 ottobre meritano tuttavia di essere raccontati. Rilevato uno strike il 24 ottobre 2011, all’indomani dello scoppio dei primi focolai della crisi europea, le quattro emissioni si sono subito distinte per le accattivanti caratteristiche. La notevole volatilità del comparto finanziario a cui appartengono i sottostanti è stata infatti sfruttata dall’emittente francese per strutturare prodotti dalla durata di un solo anno caratterizzati da una barriera profonda pari al 50% del valore iniziale e da un importo Bonus medio di circa il 20%. In virtù dell’ apprezzamento dell’intero settore durato fino alla metà dello scorso marzo, i quattro certificati hanno impostato un trend moderatamente rialzista per via del cap posto ai rendimenti, ammortizzando quindi gli strappi dei titoli tanto al rialzo quanto al ribasso. La successiva discesa che ha portato il comparto a toccare l’area di bottom lo scorso luglio, con un distacco medio dai valori strike pari al 30% ha sì pesato negativamente sulle quotazioni dei quattro Bonus Cap ma con un impatto nettamente inferiore rispetto alla correzione del rispettivo sottostante data la breve durata residua e la profondità della barriera. Il rally di agosto infine ha fondamentalmente riportato i quattro titoli sui livelli strike e a circa un mese dalla scadenza, i quattro portafogli di opzioni hanno ormai raggiunto il proprio valore di rimborso massimo. Per i fortunati che avessero in portafoglio uno dei quattro strumenti sono quindi due le possibilità: o mantenere il certificato fino a scadenza, ottenendo cosi alla data di pagamento del 29 ottobre l’intero valore Bonus oppure venderlo sul denaro, liquidando quindi l’investimento con un mese di anticipo.   Come possibile osservare dalla tabella, rispetto ai valori esposti nella mattina del 18 settembre 2012, la vendita sul denaro esposto dal market maker determinerebbe un rendimento su base annua superiore a quello realizzato in caso di rimborso alla scadenza per tutte e quattro le emissioni.