COMMODITIES, UN ANNO DOPO

 Ritenuto tradizionalmente un valido strumento di diversificazione di portafoglio, osserviamo quali opportunità può ancora riservare il settore dei principali metalli industriali.

 

Se un adagio recita come in borsa non ci siano pasti gratis, di certo non si può negare che ad un anno di distanza gli stessi costino molto meno. L’indice CRB (calcolato dal Commodity Research Bureau), indicatore ponderato in base a 19 futures su materie prime scambiati negli Stati Uniti, a quota 300,45 punti, ha infatti perso il 17,91 % rispetto ai 366 punti dello scorso anno, livello prossimo ai massimi del 29 aprile 2011 a quota 370,56 punti. Dopo un biennio di crescita del settore, sospinta principalmente dall’incremento della domanda dei mercati emergenti e, relativamente alla prima metà del 2011, da perdite significative sul lato dell’offerta (sia per le catastrofi naturali che per l’uscita della Libia dal panorama delle esportazioni di greggio), il rallentamento dell’economia mondiale in seguito al crollo dei consumi e le tensioni geopolitiche scaturite dalla crisi del debito europeo, hanno determinato la forte retromarcia di tutto il comparto.

 Ad un anno di distanza sono infatti solo sei i future che hanno complessivamente registrato una performance positiva, oro in testa, con un rendimento del 12,84%. Il rialzo del biondo metallo, considerato bene rifugio per antonomasia, trova tuttavia origine da fattori parzialmente differenti dall’equilibrio domanda/offerta che muove le materie prime, beneficiando piuttosto di un aumento del rischio di mercato. La classifica da inizio 2012 vede l’oro fuori rosa, mentre acquistano posizioni soia, legname argento e stagno. La generica categoria dei metalli che incorpora questi ultimi due, secondo le stime della World Bank è stata, rispetto ai prodotti energetici e agricoli, quella colpita più direttamente da un rallentamento della crescita della domanda mondiale, soprattutto da parte dei mercati emergenti, da dove proviene la maggior richiesta di prodotti per impiego industriale.

Se da un lato l’istituto mondiale ha messo in guardia il comparto dei metalli industriali nel breve periodo, per eventuali rimbalzi dovuti alla necessità di restocking da parte principalmente della potenza cinese e all’assestamento dell’offerta, dall’altro l’ottica di lungo periodo è rialzista. La Banca Mondiale ritiene infatti che, anche se il target non sarà quello dei massimi dello scorso anno, il trend di fondo è plausibilmente positivo, per l’aumento dei costi fissi e della forza lavoro. Passiamo quindi in rassegna i tre metalli industriali da tenere sotto osservazione.

 

RAME

Dopo aver rotto a febbraio dello scorso anno i 10000 dollari, per poi scendere fino all’area 7500 dollari per tonnellata al concludersi del 2011, in virtù dei correnti 8030 dollari il rame segna una performance a un anno negativa di 19 punti percentuali.  La spinta che ha portato negli ultimi anni le quotazioni del rame così in alto non è stata tanto favorita dalla domanda da parte dell’economia cinese, mossa peraltro da esigenze di stoccaggio più che da consumo corrente, quanto più da una compressione dell’offerta dovuta ai numerosi problemi che hanno coinvolto gli impianti d’estrazione del metallo, soprattutto quelli cileni che rappresentano il 35% dell’offerta. Se il corrente aumento delle scorte ha determinato una flessione del prezzo del rame, qualora venisse confermato un trend rialzista come quello intrapreso dopo il bottom delle scorte del 2009, il supporto sul quale sosta il metallo diventerebbe base per un ulteriore rimbalzo.

Nel panorama dei certificati, il Rame Certificate di Royal Bank of Scotland, codice Isin NL0009480359, rappresenta lo strumento idoneo per tenere sotto osservazione il rosso metallo. Con scadenza il 9 giugno 2020, il benchmark è scritto sul contratto future a scadenza trimestrale e non gode dell’opzione Quanto. Risente quindi del rischio cambio euro dollaro, valuta in cui è scambiato al LME il contratto.

ALLUMINIO

A partire dagli anni duemila le quotazioni dell’alluminio hanno seguito il trend del rame fino all’apice della crisi del 2009, per poi cedere il passo appesantite da un forte aumento della capacità produttiva da parte della Cina, pur mostrando, secondo dati della Banca Mondiale, un tasso di crescita più che doppio rispetto a quello del rame. L’istituto ritiene che, oltre al sempre maggior valore di sostituto al rame, la domanda di alluminio possa continuare a crescere per il suo minor prezzo relativo che ne aumenta la capacità di penetrazione nell’industria ( la correzione subita dal metallo è stata su base annua del 23,86% ) ma anche per la maggior duttilità. Gli analisti di Bloomberg, stimano per il 2012 una crescita della domanda di alluminio pari al 2,1% rispetto a quella del Pil. Tra i worst performer dell’ultimo anno, sulla variazione negativa del metallo non ferroso pesano le aspettative di una minore crescita come mostra la flessione messa in atto da inizio marzo, dopo l’annuncio dell’obiettivo di crescita al 7,5% da parte del governo cinese, il più basso degli ultimi sette anni.

Scritto sul future trimestrale scambiato al London Mercantile Exchange, il benchmark di Royal Bank Of Scotland, codice Isin NL0009480342, analogamente a quello sul rame, replica linearmente la performance del sottostante fino alla scadenza fissata per il 9 giugno 2020. Anche il certificato sull’alluminio è esposto al rischio cambio e, analogamente a tutti i certificati scritti su future, risente del rollover del sottostante, ovvero del passaggio al contratto successivo, modificando la partecipazione al sottostante qualora il prezzo di consegna e quello d’ingresso sulla scadenza successiva non coincidessero.

NICKEL

Presenza fissa dei fanalini di coda del comparto commodities sia su un orizzonte a un anno che da inizio 2012, il future sul Nickel scambiato all’LME ha lasciato sul campo negli ultimi dodici mesi il 34,45%. All’interno di un trend ribassista dopo i massimi del 2007, il breve exploit post crisi 2009 è stato sostanzialmente dovuto al forte aumento di produzione di acciaio inox per cui il 70% dell’offerta è indirizzata. A fronte di una riduzione delle scorte e di un eccesso di domanda, il crollo del Nickel è dovuto ad un incremento atteso della produzione, con la costruzione di nuovi impianti,principalmente in America Latina, che affiancheranno al classico metallo altre leghe come il Nickel Pig Iron di origine cinese, sviluppato a partire da metà anni 2000 con il boom del mercato. Poichè la Banca Mondiale ritiene i tempi maturi per dare inizio all’operatività di tali progetti, si attende una prosecuzione del trend ribassista nel lungo termine anche in seguito ad una riduzione dei costi di produzione.

Campo aperto in questo caso allo scenario di breve, dove il mercato del nickel potrebbe assistere a temporanei rimbalzi dovuti al relativo basso costo e al suo impiego per leghe, soprattutto dell’NPI, la cui produzione è attesa anche in territorio indonesiano.

Royal Bank Of Scotland offre un benchmark sul future con scadenza trimestrale del nickel. Con scadenza fissata per il 9 giugno 2020, il certificato, identificato da codice Isin NL0009480649, replicherà linearmente la performance del sottostante inclusa la variazione del cambio euro dollaro.