Banche italiane con le spalle al muro

a un mese dall’ultimo appello di Draghi alle banche italiane per implementare il percorso di rafforzamento patrimoniale, la prima a rispondere concretamente è stata a sorpresa Ubi Banca con il lancio di un ingente aumento di capitale da 1 miliardo di euro entro l’estate. Decisione che ha destabilizzato l’intero settore protagonista di un martedì nero a Piazza Affari. Una mossa, quella di UBI, che ufficialmente sarà imbastita in vista delle nuove regole di Basilea 3 e del varo del nuovo piano industriale, ma che secondo gli addetti ai lavori è maturata prendendo atto che sul mercato dei bond è in atto un restringimento del finanziamento domestico.
Il core tier 1 ratio del 7% di Basilea 3 è un livello minimo e gli istituti di credito nostrani dovranno progressivamente metabolizzare una differente filosofia di gestione. La via maestra indicata dal governatore di Bankitalia, Mario Draghi, è l’utilizzo di gran parte dei profitti 2010 per accrescere la dotazione patrimoniale (diminuendo quindi la voce dividendi), anche se appare inevitabile un ricorso al mercato dei capitali anche dagli altri principali istituti italiani. 
Inevitabilmente anche gli altri testimonial bancari di Piazza affari dovranno valutare se seguire la strada tracciata da Ubi Banca ricorrendo al mercato dei capitali oppure trovare una soluzione alternativa per mettere in atto il rafforzamento patrimoniale. Mps e Bpm sono tra le prime indiziate per il ricorso al mercato, anche se da Piazza Meda l’ipotesi di ricapitalizzazione non è passata sulla linea Maginot del consiglio di amministrazione. I sindacati-azionisti della Bpm hanno fatto muro alla proposta del presidente Massimo Ponzellini, e il rischio della Milano è quello di ritrovarsi ultima tra le grandi banche cooperative a ricapitalizzare a un prezzo sempre più salato.
Le due big Intesa Sanpaolo e Unicredit potrebbero avere maggiore margine di manovra. Godendo di un miglior accesso al mercato retail per il funding, miglior punto di partenza di cap ratios, potrebbero riuscire a evitare un aumento di capitale. Tra gli strumenti a disposizione, che entrambi gli istituti hanno incominciato da tempo a studiare, ci sono i coco bond (convertible contingent bond), obbligazioni ibride che hanno ancora giovane vita ma potrebbero rappresentare gli strumenti del futuro per coprire le spalle delle banche in caso di difficoltà patrimoniali. In pratica sono obbligazioni bancarie convertibili in azioni a determinate condizioni, principalmente in caso di violazione al ribasso di alcuni importanti parametri patrimoniali.