Il fattore petrolio peserà su crescita e inflazione

L’oro si conferma affidabile termometro delle tensioni presenti sui mercati. Il metallo giallo ha aggiornato martedì i propri massimi storici sopra quota 1.430 dollari l’oncia sulle rinnovate tensioni geopolitiche con il timore di possibili ulteriori peggioramenti. Il petrolio è tornato in area 100 dollari al barile a New York e sopra quota 115 dollari il Brent a Londra. Sui mercati si teme principalmente uno scenario caratterizzato da un nuovo shock petrolifero stile anni ’80. Un rialzo duraturo del petrolio rischia infatti di mettere a dura prova la ripresa economica. Un petrolio oltre la soglia di 100 dollari al barile è in grado di frenare l’economia globale, in particolare produce un impatto negativo sulle economie asiatiche che utilizzano in modo meno efficiente l’energia. Settimana scorsa Société Générale ha diffuso delle stime circa un impatto negativo dell’1% sull’economia mondiale del materializzarsi di un rialzo delle quotazioni del petrolio pari a 20 dollari. La casa d’affari transalpina ritiene però che solo un Wti a 136 dollari porterebbe a uno shock simile a quello del 2008, mentre per assistere a una crisi simile a quelle degli anni ’80 il greggio dovrebbe spingersi fino a quota 200 dollari.
Non vanno poi tralasciate le ripercussioni inflazionistiche, con l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e dei materiali che potrebbe andare a pesare sui margini delle aziende. Bernanke per ora ha liquidato come temporanei gli effetti che il balzo del petrolio avrà sull’inflazione, mentre sembra decisamente più preoccupata la Bce alle prese con inflazione oltre il 2% da ormai 3 mesi e l’indice dei prezzi alla produzione che a gennaio ha fatto segnare il maggior balzo mensile di sempre facendo presagire l’aumento delle pressioni sui prezzi nei prossimi mesi.
Wall Street è così ridiscesa ai livelli di un mese fa con lo S&P 500 poco sopra la soglia dei 1.300 punti.  Piuttosto nervosa è stata la reazione alle pacate parole pronunciate da Ben Bernanke nell’audizione semestrale al Senato: niente allerta prezzi, contesto macro incoraggiante nell’ultimo periodo e mercato del lavoro che dà segnali di miglioramenti, anche se contenuti. In sostanza poche novità nel linguaggio di Bernanke, ma i mercati hanno intravisto una Fed meno arroccata nella difesa del QE2 se la crescita si confermerà forte. Intanto venerdì per gli Stati Uniti ci sarà l’importante test dei dati di febbraio sul mercato del lavoro con il consensus che vede un deciso miglioramento (consenso +193 mila nuovi occupati non agricoli) rispetto al primo mese dell’anno che era stato condizionato dalle avverse condizioni meteo.

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