Pechino frena ancora, ma è sempre corsa all’equity dagli occhi a mandorla

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Più l’economia cinese mostra segnali di cedimento, più gli investitori riversano liquidità
sulle Borse di Shanghai e Hong Kong. Il susseguirsi di dati non certo esaltanti per la
congiuntura cinese non preoccupa il mercato che invece vede i persistenti segnali di debolezza della seconda economia mondiale come precursori di ulteriori misure di stimolo
economico da parte di Pechino.

A inizio 2015 il ritmo di espansione del Pil cinese è risultato del 7% annuo, il più lento degli ultimi sei anni pagando lo sgonfi arsi del mercato immobiliare e la debole domanda estera.
“Siamo di fronte ad una situazione internazionale complessa e a un aumento della
pressione al ribasso per l’economia nazionale”, ha rimarcato l’Ufficio Nazionale di Statistica cinese. Segnali di debolezza sono arrivati
soprattutto dalla produzione industriale e dalla bilancia commerciale con sia export
che import in decisa contrazione. Rallentamento non certo sorprendente con
il new deal cinese che mira a una crescita sostenibile non più drogata dall’export e più
orientata a favorire l’espansione dei consumi interni. Per l’intero 2015 il nuovo target della
Cina è di +7% e il premier Li Keqiang lo scorso mese si è detto fi ducioso che gli obiettivi
saranno rispettati con il governo che ha ancora “molti strumenti nella cassetta degli
attrezzi” per stimolare la crescita.

La PBoC, l’istituto centrale del paese, con ogni probabilità
ricorrerà ad ulteriori aggiustamenti al ribasso dei tassi d’interesse e dei quozienti di
riserva obbligatoria. Il rischio è che il mercato sconti azioni espansive di portata simili a
quelle post crisi 2008-2009 quando Pechino aprì a tutta i cordoni della liquidità,
mentre ad oggi le autorità cinesi appaiono decisamente
meno propense a fare di tutto per infi ammare la crescita
come dimostra il mantenimento di uno yuan forte.

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