IN SELLA ALL’AZIONARIO, MA FINO A QUANDO?

Importanti indicazioni dalla volatilità. L’imperativo: tenere d’occhio VIX e VSTOXX

 

I timidi segnali di ripresa economica negli Stati Uniti e in alcune aree del Vecchio Continente, anche grazie al sostegno delle rispettive Banche Centrali, stanno spingendo i mercati azionari verso una chiusura sui massimi dell’anno e in alcuni casi, storici. Fa eccezione il FTSE Mib, specchio di un’economia che ancora per il 2014 non sembra far intravedere un’inversione di tendenza, nonostante il recupero dei 19.000 punti. Finora ad ogni timido segnale di storno o presa di beneficio più corposa, è seguito un immediato pronto recupero. Cosa c’è da attendersi però per i primi mesi del nuovo anno? Per chi si trova in trend, l’obiettivo sarà non tanto un buon market-timing per entrare in eventuale posizione short, quanto piuttosto quello di riuscire ad ottimizzare il momento dell’uscita. Come sempre entrambi gli approcci risultano sufficientemente complicati.

In passato tuttavia ci sono state alcune variabili di mercato che hanno saputo anticipare i movimenti dell’azionario e che per questo andrebbero oggi monitorate con attenzione, anche alla luce degli esigui livelli raggiunti da molte delle stesse. In particolare stiamo parlando della volatilità, parametro determinante per molti certificati di investimento, che può tuttavia essere utilizzato anche in qualità di variabile predittiva.

Per gli investitori europei, l’indice di riferimento è il VSTOXX, ovvero l’indice di volatilità implicita dell’Eurostoxx 50. Guardando il grafico del suo andamento, notiamo come sia stata recentemente violata al ribasso area 15%, che più volte aveva retto dal 2007. Sebbene i correnti 14,5% non rappresentino i minimi assoluti, segnati a febbraio 2005 all’11,6%, l’area potrebbe preludere a un rimbalzo o quantomeno, data la comprovata relazione negativa tra andamento dell’azionario e quello dell’indice di volatilità, dovrebbe indurre a una maggiore cautela nell’esporsi direzionalmente al rialzo sull’equity.

Piuttosto che l’indice “spot”, per un’analisi maggiormente approfondita, è necessario guardare alla curva forward che, in base ai livelli dei contratti future sulle diverse scadenze, esprime l’attesa del mercato sul valore futuro assunto dalla volatilità. Ad esempio, dal grafico presente in pagina (linea arancione), notiamo come a maggio 2014 la volatilità attesa sia pari al 20%, contro un valore odierno del 14,5%.

Fatta questa breve premessa circa il possibile utilizzo di tale variabile in ottica predittiva, cerchiamo di capire l’importanza della volatilità come asset direttamente investibile nell’ottica non solo di un approccio speculativo, ma anche nell’ambito di una gestione di portafoglio a copertura del rischio azionario o per l’hedging di posizioni fortemente sensibili all’aumento della volatilità.

Sebbene sulla carta tutto ciò sia possibile, per l’investitore avere accesso diretto alla volatilità come asset investibile non è poi così semplice. Tralasciando il mercato dei derivati, è possibile reperire nei due iPath targati Barclays agganciati all’Eurostoxx 50 Volatility Short-Term e Mid-Term Futures TR Index (Isin DE000BC2KZY6 e DE000BC2K050) uno strumento utile. Tali certificati, nonostante le significative perdite subite da inizio negoziazione per il progressivo calo della volatilità di mercato e delle attese sulla stessa, continuano infatti a rappresentare un utile mezzo di gestione del rischio in ambito di portafoglio.

Oltre a soffrire del progressivo calo della volatilità “spot”, i due strumenti risentono soprattutto dell’andamento della struttura a termine dei contratti. Pertanto, specificando ancora una volta come tali strumenti non siano in grado di replicare linearmente l’andamento del VSTOXX, risultano essere l’unica alternativa per i piccoli investitori, con lo Short-Term più adatto ad un’operatività di breve termine e il Mid-Term, dove l’impatto dei rollover impliciti sulle varie scadenze di riferimento (5-6 mesi contro 1-2 mesi dello Short-Term) risulta meno rilevante, maggiormente indicato per un’operatività di più ampio respiro.

Tale meccanismo ha di fatto penalizzato tali strumenti, già depressi da un contesto di mercato che ha progressivamente spinto al ribasso la volatilità, ma soprattutto, anche alla luce dell’apprezzamento dell’azionario, ha di fatto smontato una strategia di portafoglio da noi strutturata a fine 2010, che tuttavia potrebbe essere riproposta oggi alla luce dei valori raggiunti dai due asset, ovvero con una volatilità non lontana dai minimi storici, a fronte di un mercato azionario sui massimi dell’ultimo triennio.

Eseguendo infatti un backtesting a 10 anni, con l’obiettivo di massimizzare lo Sharpe Ratio, che esprime il rendimento di un portafoglio al netto del risk free, in rapporto al rischio (deviazione standard) del portafoglio stesso, abbiamo messo in atto una strategia di portafoglio contestualmente investito sia sull’indice azionario che sul suo indice di volatilità. Tale backtest ha riportato i valori migliori su una distribuzione dei pesi pari all’80% equity e 20% volatilità, in particolare restituendo in tale scenario uno Sharpe Ratio pari a 1,76 contro un valore pari a 0,31 del benchmark azionario.

Pertanto nonostante la forte contrazione dei prezzi dei due iPath dal loro esordio al Sedex, che ha reso perdente qualunque strategia unidirezionale sugli stessi, è possibile di fatto affermare come in ottica di portafoglio nel medio termine in una strategia “equity+volatilità” questi consentano in ogni caso all’investitore di godere di una protezione di portafoglio o più in generale di migliorarne potenzialmente l’efficienza.

Discorso che può essere applicato in parte anche per molti degli investment certificates dotati di opzioni esotiche con barriera, caratterizzati da un’elevata sensibilità negativa (vega) all’andamento della volatilità del relativo sottostante.