LE MISURE DI RISCHIO

La percezione della rischiosità. Dalla probabilità in media alla probabilità di massima perdita

 In Finanza Comportamentale il concetto di rischio di un’attività finanziaria viene associato all’entità della perdita, effettiva o potenziale, che può essere subita. Il processo mentale che regola la valutazione della rischiosità risulta così basato sull’ipotesi sull’impatto che l’evento maggiormente negativo può avere sul capitale di riferimento e non sull’ approccio classico della “probabilità  in media”, misurata attraverso la Deviazione Standard dei rendimenti. La sua scarsa coerenza con l’approccio comportamentale è facilmente dimostrabile. Sia nel caso in cui ricavassimo la Deviazione Standard ex post o la stimassimo ex ante, considerando un insieme di dati, non potremmo ricavare alcuna informazione su come gli stessi si presentino in sequenza. Ipotizziamo di esaminare una serie di dati, rappresentativa di un periodo di 100 giorni di borsa aperta, il cui andamento sia stato quello rappresentato nel grafico “Rendimenti giornalieri cumulati”. La deviazione standard dei rendimenti risulta essere pari a: 0,292%. Se provassimo ora a ordinare tutte le performance cumulate, dalla peggiore alla migliore, otterremmo un grafico come quello in figura “ Rendimenti giornalieri ordinati cumulati”. Il calcolo della deviazione standard della nuova sequenza di dati risulta essere ancora pari a: 0,292% poiché la base dati è sempre la stessa e non conta l’ordine attraverso il quale vengono rilevati i valori.  Si può facilmente notare come nel grafico “Rendimenti giornalieri cumulati” la percezione del rischio, ovvero la dispersione dei rendimenti, sia poco meno dell’ 1% rispetto al valore di origine, o, al massimo, del 3% se consideriamo la discesa dai massimi, mentre nel grafico “Rendimenti giornalieri cumulati ordinati” si arriva a superare anche il 10%, a parità di Deviazione Standard e di risultato finale (+3,45%). La Deviazione Standard presenta infatti il grosso limite di non permettere di evidenziare la presenza di trend (sequenza di dati consecutivi con lo stesso segno), sia al rialzo che al ribasso, nella serie storica.

 VALUE AT RISK VS DRAWDOWN

 Per cercare di avvicinarsi maggiormente al concetto di rischio inteso come perdita potenziale, l’industria finanziaria ha successivamente realizzato un indicatore, denominato VaR (Value at Risk), con lo scopo di misurare la perdita massima di valore di un asset finanziario, entro un determinato intervallo di confidenza, in un periodo di tempo definito. Il VaR ha però un grosso limite che è da leggersi in chiave prevalentemente comportamentale, ed è da attribuire alla “monoperiodalità” dello strumento. Durante fasi di instabilità è frequente la domanda: “Quanto potrebbe scendere ancora il mercato?”. Una risposta, supportata dai valori calcolati del VaR, ad esempio “3% in una settimana (oppure in un mese, in tre mesi)” non è considerata esaustiva, poiché non fornisce alcun elemento sul periodo seguente, il soggetto vuole infatti sapere quanto l’asset può perdere ancora “in assoluto”. Secondo la Finanza Comportamentale, gli individui valutano i risultati delle operazioni finanziarie in base ad un punto di riferimento e, di conseguenza, cercano di evitare le perdite proprio da tale punto. Si rende pertanto necessaria l’introduzione di una nuova misura di rischio, più “vicina” alla percezione cognitiva degli individui, i quali associano il rischio al concetto di “perdita massima”. Tale misura di rischio “comportamentale” è rappresentata dalla stima del Massimo Drawdown, calcolata come la profondità in termini percentuali del deprezzamento di un asset, con riferimento al precedente punto di massimo, all’interno di una serie storica di dati.  Dobbiamo però considerare altri due fattori altrettanto importanti nella tolleranza al rischio, quali la durata della fase negativa, dal punto di origine al punto di minimo nonché la durata della fase di recupero, recovery dal punto di minimo al precedente punto di massimo. Ciascuno di essi rappresenta una componente di base dello stesso fenomeno e ciascuno, a proprio modo, provoca un impatto diverso sull’emotività di ciascun individuo e sulla percezione soggettiva del rischio. Un drawdown poco significativo in termini percentuali, ma la cui durata dovesse persistere per un lungo periodo di tempo senza  essere recuperato, provocherebbe un effetto “delusione” che potrebbe condurre all’abbandono dell’operazione. Per contro, un drawdown anche importante, se recuperato in breve tempo, potrebbe essere tollerato senza particolare turbamento.

Federico Costalonga