ADDIO FABBRICA ITALIA

Etica morale, inefficienza di mercato e promesse non mantenute vedono parti sociali e liberisti schierati su fronti opposti per prendere parte alla saga “Fiat contro tutti”.  Un breve dossier per fare chiarezza tra piano FABBRICA ITALIA e vertici di governo.

 

Il volto pensieroso di Marchionne, ancora con la barba e il capello scompigliato campeggia ormai sulle principali testate d’informazione.  L’amministratore delegato del marchio FIAT, premiato lo scorso aprile come industriale dell’anno nella sezione grandi aziende dalla Michigan Manufacturers Association ha assunto sempre più le sembianze del tipico CEO made in USA, con quell’inconfondibile stile casual chic di chi ha ben altro a cui pensare.  E di certo materiale in merito a Sergio Marchionne non ne manca impegnato com’è a risolvere il dilemma “Italia si, italia no” per il prossimo piano d’investimenti.  Se l’incontro dello scorso 22 settembre tra l’AD del gruppo torinese e il governo ha messo una pezza al fiume di polemiche riguardo ai costi sociali di un farewell, il come, il quando e soprattutto il perché gli stabilimenti italiani della casa automobilistica rimarranno in attività rimangono da decidere. L’incontro con i capi di governo durato più di 5 ore si è infine concluso con la promessa/scommessa da parte di Fiat di rimanere in Italia utilizzando, in un ipotetico momento opportuno, gli stabilimenti sparsi sul territorio e il relativo indotto per puntare sull’export. Rimane tuttavia difficile ipotizzare il timing di tale intervento dal momento che una destinazione d’arrivo oltreoceano rimane per ora poco profittevole dato il  cambio poco favorevole ad una produzione a basso costo.

Quello che è certo è l’amaro epilogo dell’ambizioso progetto FABBRICA ITALIA inaugurato nel lontano aprile 2010 dallo stesso Marchionne. L’aggressivo piano strategico del gruppo prevedeva investimenti  per 20 miliardi, ovvero oltre tre volte di quanto avesse già stanziato a partire dagli anni ‘80 secondo stime del CIGR di Mestre, da distribuire tra gli impianti del Belpaese con lo scopo di raddoppiare la produzione interna per incrementare le vendite in Europa e negli Stati Uniti,  tentando un rilancio di Alfa Romeo e Lancia su categorie superiori a quella generalista. In termini di volumi di produzione, gli obiettivi aggressivi annunciati da Marchionne, in un mercato delle immatricolazioni del Vecchio Continente già in calo, avrebbero previsto un incremento delle vendite in Europa del 64% nel quinquennio 2009-2014, nonché l’esportazione di 300 mila unità verso gli Stati Uniti per due terzi a marchio Fiat e uno a marchio Chrysler. Il varo del piano sarebbe stato preceduto tuttavia da maggiore flessibilità sulla gestione della produzione sia per gli impianti che per l’indotto, andando quindi a inasprire l’orario di lavoro e il salario, con buona pace dei sindacati.   Le condizioni economiche avverse che si sono succedute al varo del piano, soprattutto nel Vecchio Continente hanno invece ribaltato lo scenario atteso dal Lingotto. Venuta meno la conditio sine qua non, ovvero la domanda, i ritocchi alla gestione sono rimasti, ma al piano d’investimento e allo sviluppo di nuovi prodotti si è sostituita la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese a novembre 2011 e un sempre maggior allontanamento del gruppo automobilistico dall’hub europeo.  Seppur all’interno del settore automotive generalista FIAT non sia mai stata tra le prime scelte dei cittadini del Vecchio Continente, nel mese di agosto la sua quota sulle nuove immatricolazioni è stata superata da Hyundai mentre è seguita a ruota da Toyota, fanalino di coda delle big. La fetta di Fiat è infatti pari unicamente al 5,22% dell’intero mercato, circa la metà dei nuovi veicoli targati Peugeot e 6 volte meno di quelli a marchio Volkswagen. Benché sul Vecchio Continente il calo delle vendite Fiat sia stato pari al 71% ( dal primo semestre corrente a giugno 2011), a livello mondiale il gruppo Fiat-Chrysler ha aumentato la propria quota di mercato di circa un punto percentuale dal varo del piano FABBRICA ITALIA passando dal 5,1% del primo trimestre 2010 al 6% del secondo trimestre 2012.

Non c’è quindi da stupirsi se l’AD di Fiat non usi mezzi termini nel definire l’Italia un paese con le zavorre, condizione peraltro vissuta su ogni dimensione dall’imprenditoria italiana, e dichiari di mantenere gli improduttivi stabilimenti italiani in vita unicamente, è il caso di dire,  perché se lo può permettere,  grazie alla liquidità derivante dai profittevoli mercati sudamericani e dell’America del Nord.  Quello che stupisce è che non abbia già deciso di andarsene, di rinunciare alle rendite di posizione date da un modello industriale come quello italiano e al costo opportunità di una potenziale ripresa, per dedicarsi unicamente al mercato oltreoceano. Evidentemente i costi di dismissione, compresi anche quelli sociali legati all’eliminazione dell’intero settore auto motive nel Bel paese sono ad oggi ritenuti troppo elevati sia dal governo che dallo stesso gruppo. Secondo la stima del presidente dell’ACI la scomparsa metterebbe a rischio 10 mila posti di lavoro, ovvero quattro volte Termini Imerese. Mantenere Fiat in Italia sembra quasi un atto di concessione nell’attesa che qualche player europeo o internazionale venga a rilevare l’expertise italiana del settore. Sarà a quel punto peggio per il Lingotto o peggio per l’intero governo italiano non aver trovato gli strumenti adatti per poter sfruttare la capacità degli italiani di fare cose belle.

Senza mezze parole tuttavia l’AD di Fiat ha affermato come nel 2011 quasi tutti i profitti del gruppo combinato siano arrivati da Detroit mentre i ricavi della sola casa italiana siano stati in linea con quelli del 2010.  Fiat prevede tuttavia di chiudere il 2012 con ricavi in crescita ed il risultato di gestione più alto dei 113 anni di storia dell’intero marchio compresa Fiat Industrial, in ottima forma grazie al partner CNH.  Anche il livello di liquidità sarà mantenuto elevato, al di sopra dei 20 miliardi.

In conclusione, segnaliamo due certificati scritti sul titolo del Lingotto dal profilo rischio rendimento ma tuttavia dalle interessanti potenzialità.

JET CAP PROTECTION CERTIFICATE

Tra le novità scritte sul titolo Fiat, è in collocamento fino al 28 di questo mese un nuovo Jet Cap Protection Certificate targato BNP Paribas. Come intuibile dal nome commerciale non si tratta di uno strumento di tipo Outperformance puro, bensì, rinunciando ai dividendi e fissando una  soglia massima al rimborso, di un prodotto che consente di amplificare le performance al rialzo del titolo del Lingotto e nel contempo di replicare linearmente quelle al ribasso solo qualora il sottostante abbia perso oltre metà del proprio valore inferiore. All’interno dell’intervallo compreso tra lo strike e la barriera infatti è garantito il rimborso del nominale. Entrando più nel dettaglio di questa nuova emissione, il 28 settembre prossimo è in programma la rilevazione del prezzo di chiusura del titolo Fiat al fine di determinare lo strike del certificato. Al termine dei 3 anni di durata, ovvero il 5 ottobre2015, apartire proprio da questo livello, il certificato riconoscerà in caso di rialzo del titolo, i 100 euro nominali maggiorati del 300% delle performance realizzate. Ciò significa che ogni 10% di rialzo del titolo del gruppo torinese, i possessori del certificato realizzeranno un profitto del 30%. La struttura si caratterizza tuttavia per la presenza di un Cap posto al 17% tale da fissare l’importo massimo a scadenza a 151 euro. Benché un tetto ai rendimenti penalizzi di fatto il possessore in caso di forte rialzo dell’azione tanto nel durante, per via dell’effetto zavorra esercitato dall’opzione venduta dall’emittente, quanto alla scadenza, è da ricordare come in ogni caso sia garantita la protezione dell’intero nominale per un valore di chiusura non inferiore alla barriera, fissata al 50% del valore strike. E sebbene per l’anno 2011 e 2012 la compagnia guidata da Sergio Marchionne abbia deciso di non staccare alcun dividendo, è necessario tener conto dei probabili dividendi che Bloomberg stima fino alla scadenza pari a 0,470 euro. Rispetto ad un valore corrente del titolo pari a 4,48 euro, questi concorreranno a ridurre il margine da barriera del 10,49%. E’ prevista infine la quotazione sul mercato Sedex di Borsa italiana.

ATHENA AIRBAG

 Per limitare gli effetti negativi dello stacco dei dividendi sul valore del certificato la stessa emittente francese ha strutturato una serie di Athena Airbag che associano al profilo di rimborso tipico degli Express un’importante variante a scadenza. Alla data di valutazione finale infatti, qualora non si fosse mai verificato il rimborso anticipato basterà che venga mantenuto almeno il livello barriera per poter ottenere l’intero coupon previsto. In quotazione su Borsa italiana dallo scorso 17 febbraio e con scadenza fissata per il 21 febbraio 2014, il certificato scritto su Fiat prevede lungo la durata residua 3 rilevazioni semestrali per il rimborso anticipato con un livello trigger pari al 100% dello strike, ovvero 4,576 euro. L’evento knock in determinerebbe il rimborso dell’intero nominale maggiorato di un coupon a memoria del 10%. Alla scadenza invece sarà necessario un valore della stock torinese non inferiore a 3,2032 euro, ovvero al 70% dello strike, per ottenere non solo il nominale ma anche un premio complessivo del 40%. Qualora non venisse centrata la condizione validante, il rimborso replicherà linearmente la performance effettiva del sottostante con un rimborso massimo pertanto non superiore a 70 euro. Disattesa la prima osservazione , il certificato guarda alla data del 14 febbraio dove, se il titolo FIAT recupererà almeno il 2,14% dal livello spot corrente, si estinguerà anticipatamente con 120 euro ogni 100 di nominale, equivalenti ad un rendimento complessivo rispetto ai 112,90 euro a cui è esposto in lettera, pari al 6,3%.  In caso di mancato evento knock in, prima della naturale scadenza è disponibile un’ulteriore finestra ad agosto 2013 dove, al fine di ottenere un rimborso di 130 euro, sarà necessario che il sottostante recuperi oltre al 2,14% di cui sopra anche i 12 centesimi di stacco previsto dagli analisti di Bloomberg.